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04/04/2020
#AURORA RACCONTA LA COPPA ITALIA DEL 2012: UN TRIONFO SFIORATO E UNA TIFOSA IN PIÙ
Un “tranquillo” weekend di coppa. Se così si può dire. Esattamente quattro anni dopo (più un giorno) l’Aurora tornò a giocarsi la Coppa Italia, un’edizione a cui parteciparono tutte e sedici le contendenti alla LegaDue partendo già in precampionato con gli ottavi di finale. Jesi, quell’anno, pescò una delle coppie di americani più forti dell’ultimo decennio, scovando due elementi come Jeff Brooks e Mickey McConnell che, insieme ai confermati Maggioli, Rossini, Hoover, Migliori e Valentini, formavano un roster pronto a puntare ai playoff.
Quella sensazione venne confermata, appunto, anche dalle prime apparizioni in Coppa Italia, un doppio scontro, andata e ritorno, che Jesi disputò contro una buona Forlì, una squadra che diede filo da torcere agli arancioblù in entrambi gli incontri e che, di lì a poco, avrebbe innestato una nuova rivalità. Il doppio +3, comunque, spalancò a Jesi le porte dei quarti di finale. Una fase, anche questa, in cui Jesi trovò un’altra romagnola come Imola, anche lei squadra ostica, specie sul proprio campo. Anche contro l’Andrea Costa, la banda allenata allora da Stefano Cioppi dovette sudare e non poco: nei termini del doppio confronto, decisivo fu il +6 del ritorno che, dopo il pareggio dell’andata, qualificò l’Aurora alla Final Four.
Un’altra sfida a quattro, insomma, solo che stavolta invece di dirigersi a nord, gli arancioblù fecero rotta su Bari, in Puglia. Quella Puglia che a questa manifestazione aveva qualificato l’Enel Brindisi, assoluta favorita e futura promossa con un roster a dir poco illegale per questa categoria. L’avversario dell’Aurora, però, non furono i “padroni di casa”, bensì quella Scafati che già tante volte ha dato vita, contro Jesi, a partite belle quanto emozionanti, alcune positive, altre piene di amarezza. Perché ricordarlo? Beh,perché quella semifinale fu un riassunto di tante di queste sensazioni.
L’Aurora partì forte con un +13 maturato nei primi dieci minuti ma che, con il proseguo del match, lentamente si assottigliava; all’ultima sirena il vantaggio sembrava ancora confortante (+9), ma di fatto la partita ancora doveva esprimere il suo momento migliore. Quando ormai il traguardo sembrava vicino, ecco la rimonta di Scafati che, a pochi secondi dalla fine, mise la freccia e sorpasso la Fileni, con due liberi su fallo di Hoover, dando la sensazione di avere le mani sulla partita. Eppure, con Hoover in campo, non è finita finché non scade l’ultimo centesimo di secondo.
Dopo il timeout, la palla inevitabilmente finì nelle mani di Ryan che, a pochissimi istanti dalla sirena, scagliò quello che era il suo marchio di fabbrica, la tripla della vittoria. Non serve dire come sia andato a finire quel tiro, la retina stava solo aspettando la palla per far partire la gioia degli arancioblù. Così fu, effettivamente, eppure, per arricchire quel finale di ulteriore fascino mancava qualcosa. Nel festeggiare con il marito, a Brenna Hoover, incinta di otto mesi della secondogenita di Ryan, si ruppero le acque. Nel frastuono generale la squadra lasciò il PalaFlorio e si avviò a cena (e, dalla testimonianza dei presenti, che cena!); quando ormai si era in procinto di assaltare il banchetto, ecco la telefonata.
Hoover chiamò immediatamente la dirigenza per avvisare che Brenna stava per partorire e subito partì la corsa verso l’ospedale pediatrico; peccato che, in questa struttura, non c’era il reparto maternità. E quindi? Quindi, altra corsa, stavolta di ritorno verso Bari e verso il San Nicola con Brenna in ambulanza visto che il travaglio era già iniziato. Come se non bastasse, nel nosocomio pugliese la signora Hoover venne fatta entrare da sola, senza Ryan, senza nessuno che parlasse italiano. Ci volle tutta la notte, in cui ovviamente il numero 7 arancioblù non dormì, prima di vedere, all’alba, Genevieve, la secondogenita di casa Hoover. Il tutto prima di una finale.
Sì, perché non ci siamo dimenticati che c’era una finale. Un atto conclusivo in cui Jesi diede tutto, rincorrendo dal primo all’ultimo minuto e, nella frazione conclusiva, sfiorando una rimonta che avrebbe avuto del clamoroso. Hoover resistette due quarti prima di venire sfiancato da tensione e stanchezza; quella squadra, però, aveva mille risorse e, in assenza di una pedina molto importante, seppe sopperire con i canestri di Maggioli e Migliori, le giocate di McConnell e i salti di Brooks. Peccato che, nell’ultimo minuto soprattutto (come in tutta la partita), gli arbitri, anche a detta dei media presenti al PalaFlorio, decisero prima di fischiare tutto, poi di non sanzionare più nulla quando occorreva il fallo sistematico. Finì 77-74 per la Brindisi dell’MVP Jimmy Hunter che, di lì a qualche mese, festeggiò anche la promozione. A Jesi, sicuramente, rimaneva tanto amaro in bocca ma la consapevolezza di poter ambire ai playoff, specie con un duo come quello Brooks-McConnell. Ma questa è un’altra storia…
Quil il link per rivivere anche quella emozione, insieme agl altri due canestri storici di Ryan Hoover:
https://www.facebook.com/watch/?v=1011895062244276&redirect=false
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Un “tranquillo” weekend di coppa. Se così si può dire. Esattamente quattro anni dopo (più un giorno) l’Aurora tornò a giocarsi la Coppa Italia, un’edizione a cui parteciparono tutte e sedici le contendenti alla LegaDue partendo già in precampionato con gli ottavi di finale. Jesi, quell’anno, pescò una delle coppie di americani più forti dell’ultimo decennio, scovando due elementi come Jeff Brooks e Mickey McConnell che, insieme ai confermati Maggioli, Rossini, Hoover, Migliori e Valentini, formavano un roster pronto a puntare ai playoff.
Quella sensazione venne confermata, appunto, anche dalle prime apparizioni in Coppa Italia, un doppio scontro, andata e ritorno, che Jesi disputò contro una buona Forlì, una squadra che diede filo da torcere agli arancioblù in entrambi gli incontri e che, di lì a poco, avrebbe innestato una nuova rivalità. Il doppio +3, comunque, spalancò a Jesi le porte dei quarti di finale. Una fase, anche questa, in cui Jesi trovò un’altra romagnola come Imola, anche lei squadra ostica, specie sul proprio campo. Anche contro l’Andrea Costa, la banda allenata allora da Stefano Cioppi dovette sudare e non poco: nei termini del doppio confronto, decisivo fu il +6 del ritorno che, dopo il pareggio dell’andata, qualificò l’Aurora alla Final Four.
Un’altra sfida a quattro, insomma, solo che stavolta invece di dirigersi a nord, gli arancioblù fecero rotta su Bari, in Puglia. Quella Puglia che a questa manifestazione aveva qualificato l’Enel Brindisi, assoluta favorita e futura promossa con un roster a dir poco illegale per questa categoria. L’avversario dell’Aurora, però, non furono i “padroni di casa”, bensì quella Scafati che già tante volte ha dato vita, contro Jesi, a partite belle quanto emozionanti, alcune positive, altre piene di amarezza. Perché ricordarlo? Beh,perché quella semifinale fu un riassunto di tante di queste sensazioni.
L’Aurora partì forte con un +13 maturato nei primi dieci minuti ma che, con il proseguo del match, lentamente si assottigliava; all’ultima sirena il vantaggio sembrava ancora confortante (+9), ma di fatto la partita ancora doveva esprimere il suo momento migliore. Quando ormai il traguardo sembrava vicino, ecco la rimonta di Scafati che, a pochi secondi dalla fine, mise la freccia e sorpasso la Fileni, con due liberi su fallo di Hoover, dando la sensazione di avere le mani sulla partita. Eppure, con Hoover in campo, non è finita finché non scade l’ultimo centesimo di secondo.
Dopo il timeout, la palla inevitabilmente finì nelle mani di Ryan che, a pochissimi istanti dalla sirena, scagliò quello che era il suo marchio di fabbrica, la tripla della vittoria. Non serve dire come sia andato a finire quel tiro, la retina stava solo aspettando la palla per far partire la gioia degli arancioblù. Così fu, effettivamente, eppure, per arricchire quel finale di ulteriore fascino mancava qualcosa. Nel festeggiare con il marito, a Brenna Hoover, incinta di otto mesi della secondogenita di Ryan, si ruppero le acque. Nel frastuono generale la squadra lasciò il PalaFlorio e si avviò a cena (e, dalla testimonianza dei presenti, che cena!); quando ormai si era in procinto di assaltare il banchetto, ecco la telefonata.
Hoover chiamò immediatamente la dirigenza per avvisare che Brenna stava per partorire e subito partì la corsa verso l’ospedale pediatrico; peccato che, in questa struttura, non c’era il reparto maternità. E quindi? Quindi, altra corsa, stavolta di ritorno verso Bari e verso il San Nicola con Brenna in ambulanza visto che il travaglio era già iniziato. Come se non bastasse, nel nosocomio pugliese la signora Hoover venne fatta entrare da sola, senza Ryan, senza nessuno che parlasse italiano. Ci volle tutta la notte, in cui ovviamente il numero 7 arancioblù non dormì, prima di vedere, all’alba, Genevieve, la secondogenita di casa Hoover. Il tutto prima di una finale.
Sì, perché non ci siamo dimenticati che c’era una finale. Un atto conclusivo in cui Jesi diede tutto, rincorrendo dal primo all’ultimo minuto e, nella frazione conclusiva, sfiorando una rimonta che avrebbe avuto del clamoroso. Hoover resistette due quarti prima di venire sfiancato da tensione e stanchezza; quella squadra, però, aveva mille risorse e, in assenza di una pedina molto importante, seppe sopperire con i canestri di Maggioli e Migliori, le giocate di McConnell e i salti di Brooks. Peccato che, nell’ultimo minuto soprattutto (come in tutta la partita), gli arbitri, anche a detta dei media presenti al PalaFlorio, decisero prima di fischiare tutto, poi di non sanzionare più nulla quando occorreva il fallo sistematico. Finì 77-74 per la Brindisi dell’MVP Jimmy Hunter che, di lì a qualche mese, festeggiò anche la promozione. A Jesi, sicuramente, rimaneva tanto amaro in bocca ma la consapevolezza di poter ambire ai playoff, specie con un duo come quello Brooks-McConnell. Ma questa è un’altra storia…
Quil il link per rivivere anche quella emozione, insieme agl altri due canestri storici di Ryan Hoover:
https://www.facebook.com/watch/?v=1011895062244276&redirect=false
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