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31/03/2020 #AURORA RACCONTA RYAN HOOVER, IL SOLDATO SPECIALE DELL’ULTIMO TIRO

 

Lo sapevano tutti, probabilmente lo sanno tutti. O meglio, come diceva anche un certo coro, tutta Italia deve sapere che Ryan Hoover segna allo scadere. Il soldato Ryan, soprannome datogli anche per il celebre film hollywoodiano, entrò nel cuore dei tifosi jesini in quel 2006 che, almeno in principio, sembrava un anno stregato. La ripartenza, come già abbiamo raccontato, non fu delle migliori e Hoover fu chiamato in sostituzione di Dennis Stanton, eccelso tiratore bianco mai riuscito a lasciare il segno.

 

La storia d’amore tra Hoover e l’Aurora non iniziò nel migliore dei modi: il suo esordio, infatti, avvenne nel peggior derby casalingo della storia, con un -24 che gelò tutto il pubblico jesino. A dicembre, tuttavia, gran parte della svolta fu anche merito suo, insieme all’allenatore che gli regalò una seconda giovinezza. Arrivato in Italia nel 2001, Hoover era un giocatore di altissimo spessore in A2 e se n’era accorta anche Jesi, affrontata due volte in semifinale playoff, prima con Teramo poi con Montecatini. Tutto prima di quell’incontro.

 

E il nativo di Peoria, Illinois, divenne quasi subito il nuovo beniamino del pubblico, a suon di triple, suo marchio di fabbrica, a suon di giocate decisive e di leadership. Nei playoff 2007 i primi due segni, impossibili da dimenticare: il primo in occasione di gara-2 di playoff nei quarti contro Caserta, quando, allo scadere del supplementare Hoover si lanciò in mezzo a due avversari e, da circa otto metri, trovò il jolly decisivo con il pallone che toccò il tabellone, girò sul ferro ed entrò. Il secondo, nemmeno un mese dopo arrivò in gara-4 con Pavia, nella successiva semifinale: sotto di due a una decina di secondi dalla fine Hoover prese palla, si portò nella classica posizione in ala e scagliò il tiro. Ancora una volta canestro. Quello che valse gara-5, anche se poi lì si fermò l’avventura arancioblù nei playoff.

 

Il legame continuò anche l’anno dopo, quello che vi abbiamo raccontato ieri, e Hoover continuò a segnare a ripetizione, come in quella partita, ancora a Caserta, in cui Jesi espugnò il PalaMaggiò con una sua sontuosa prova da 10/18 da tre. Insomma, un incubo per l’allora Pepsi, un incubo però che per loro si trasformò in gioia, quando al numero 7 non riuscì la magia in gara-4. Quella fu la partita che chiuse la prima parte di una storia d’amore che non poteva finire. E infatti continuò, in due cicli. Dopo la Serie A e il ritorno a Teramo con Capobianco e Moss, infatti, Hoover scelse nuovamente Jesi, fermandosi fino al 2013, prima di salutare e ritornare di nuovo, l’ultima volta, nel 2014, per le ultime otto partite e per chiudere lì la sua carriera.

 

In tutti questi anni quello che più è stato apprezzato, oltre al talento, è la sua attitudine, il suo essere un allenatore in campo, quella maniacalità che lo portava a lavorare in maniera certosina, la stessa con cui faceva tutto nella vita, anche scegliere il vino al supermercato. E poi segnava, segnava da tutte le posizioni, da tutte le distanze con un aumento della percentuale proporzionale all’importanza del tiro, anche se, fino a quel momento, non si era mai visto o stava tirando malissimo. Sì, perché più cresceva la tensione, più a Ryan si alzava la percentuale. Come a Bari, in Coppa Italia nel 2011, ma anche questa è tutta un’altra storia…

 
 

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