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28/03/2020
#AURORA RACCONTA GLI STRANIERI DEL CUORE, I FENOMENI WALTER BERRY E ROMAIN SATO
Prima di voltare pagina e di raccontare quello che è stato il nuovo inizio dell’Aurora Basket, non si può non fare qualche passo qua e là, magari ripensando a quei giocatori che hanno lasciato un grande ricordo. E non soltanto in termini di risultato. Come? Beh, credo basti leggere il titolo per capire, perché Walter Berry e Romain Sato sono stati, entrambi, due fenomeni, chi prima di arrivare in gialloverde, chi dopo.
Il giorno in cui l’Aurora annunciò Walter Berry non ci vollero grandissime presentazioni, solo leggere il nome suscitò qualcosa: Portland, San Antonio, New Jersey Nets, Houston, di là dall’oceano, Napoli, Paok e Aris Salonicco e Olympiacos, tra le altre, quando sbarcò in Europa e fece stropicciare gli occhi a tutti. Lo stesso effetto che ha suscitato a Jesi, pur se per solo una ventina di partite prima di andarsene e tornare in America. Un giocatore, Berry, veramente d’altri tempi, ma con un talento che, probabilmente, ancora oggi sarebbe in grado di portare a scuola, come si dice, tanti suoi colleghi. Sì, perché nel raggio dei 4, massimo 5 metri da canestro, Berry era inarrestabile; non era appariscente, aveva un modo di tirare alquanto rivedibile, ma se prendeva la palla spalle al cesto non lo fermavi: semiganci, un uso del piede perno da manuale e quel senso del canestro quasi innato. In campo sembrava un maestro con tanti allievi intorno che provavano a sfidarlo ma che potevano solo cercare di imparare.
Walter Berry, poi, era anche un personaggio. Al netto della fuga che ha lasciato orfana l’Aurora (ma la dirigenza scovò un altro talento niente male come Rocky Walls che, sfortunatamente, si infortunò proprio alla vigilia della fase clou), non sono passate inosservate le sue stravaganze. Come la richiesta, folle nel 1999 in Italia, di una macchina con il cambio automatico, preferibilmente se Jaguar (una Citroen Tempra dell’epoca fu decisamente rifiutata dallo stranger), marca di cui aveva un’immensa collezione in garage, alla corsa contromano sulla strada verso il ristorante Tabano, immediatamente fermata dagli agenti di polizia, fino ai litri di Coca Cola a cena, anche al posto di ottimi vini locali, o quel misunderstanding quando una telefonata anonima avvisò le forze dell’ordine di due persone di colore (lui e Latibeaudiere) davanti alla sede della Banca delle Marche di via San Francesco, sotto la sede dell’Aurora dei tempi. Tanti episodi che, però, non cancellarono e non cancellano le giocate di un vero fenomeno.
Una parabola diversa, ma con l’NBA in comune, ce l’ha avuta anche Romain Sato, un altro fenomeno visto nell’ultimo anno dell’era Sicc e che da Jesi spiccò letteralmente il volo. Nato nella Repubblica Centrafricana, prima di arrivare in gialloverde passò un anno sotto il controllo dei San Antonio Spurs. Il curriculum parlava già da solo ma non svelò la bellezza di un giocatore pulito quanto estremamente efficace. Ottimo difensore e grandissimo atleta, all’Aurora non era ancora anche il tiratore visto poi a Siena, al Panathinaikos e a Valencia, ma si vide immediatamente il suo talento: incontenibile in penetrazione e a rimbalzo, due gambe con la dinamite e una mano educata fecero sì che fosse un’arma difficile da limitare in A2. I 39 punti nella stagione regolare contro Pavia sono soltanto la punta dell’iceberg di una stagione da quasi 26 di media, diventati oltre 30 poi nei playoff con quella tripla doppia in gara-3 contro Ferrara: 43 marcature personali, 19 rimbalzi e 17 falli subiti che, però, non bastarono.
Una stagione, quella del 2005/06, che si concluse ai quarti di finale contro Ferrara, in quella famosa partita finita dopo 3 supplementari in 5 contro 3, l’amaro epilogo di un’annata, con Luca Banchi al timone, fortemente pregiudicata dall’incidente automobilistico occorso a tre alfieri gialloverdi, tra cui un importantissimo Tony Dorsey. Quell’anno, però, non fu affatto privo di soddisfazioni, su tutte, sicuramente, il +26 nel derby in trasferta a Fabriano, un match in cui Maggioli, Dorsey e proprio Sato incantarono i tanti tifosi in trasferta stabilendo un record assoluto. Sato, appunto, un carattere diametralmente opposto da Walter Berry: dormiva tantissimo, frequentava sempre lo stesso ristorante, dal primo all’ultimo giorno della sua permanenza a Jesi, l’uomo che ha incantato il pubblico con tutta la sua essenza. Ma anche quel ragazzo che veniva messo costantemente in difficoltà in allenamento da Ray Weathers, l’altro stranger designato a inizio anno ma che, per vari motivi giocò molto poco: eppure, in quel poco durante la settimana e pur con l’Holter cardiaco addosso, Ray Weathers faceva letteralmente impazzire Sato, non proprio l’ultimo difensore in campo. A prescindere, però, il futuro consacrò il centrafricano, un altro fenomeno con un passato in gialloverde.
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Prima di voltare pagina e di raccontare quello che è stato il nuovo inizio dell’Aurora Basket, non si può non fare qualche passo qua e là, magari ripensando a quei giocatori che hanno lasciato un grande ricordo. E non soltanto in termini di risultato. Come? Beh, credo basti leggere il titolo per capire, perché Walter Berry e Romain Sato sono stati, entrambi, due fenomeni, chi prima di arrivare in gialloverde, chi dopo.
Il giorno in cui l’Aurora annunciò Walter Berry non ci vollero grandissime presentazioni, solo leggere il nome suscitò qualcosa: Portland, San Antonio, New Jersey Nets, Houston, di là dall’oceano, Napoli, Paok e Aris Salonicco e Olympiacos, tra le altre, quando sbarcò in Europa e fece stropicciare gli occhi a tutti. Lo stesso effetto che ha suscitato a Jesi, pur se per solo una ventina di partite prima di andarsene e tornare in America. Un giocatore, Berry, veramente d’altri tempi, ma con un talento che, probabilmente, ancora oggi sarebbe in grado di portare a scuola, come si dice, tanti suoi colleghi. Sì, perché nel raggio dei 4, massimo 5 metri da canestro, Berry era inarrestabile; non era appariscente, aveva un modo di tirare alquanto rivedibile, ma se prendeva la palla spalle al cesto non lo fermavi: semiganci, un uso del piede perno da manuale e quel senso del canestro quasi innato. In campo sembrava un maestro con tanti allievi intorno che provavano a sfidarlo ma che potevano solo cercare di imparare.
Walter Berry, poi, era anche un personaggio. Al netto della fuga che ha lasciato orfana l’Aurora (ma la dirigenza scovò un altro talento niente male come Rocky Walls che, sfortunatamente, si infortunò proprio alla vigilia della fase clou), non sono passate inosservate le sue stravaganze. Come la richiesta, folle nel 1999 in Italia, di una macchina con il cambio automatico, preferibilmente se Jaguar (una Citroen Tempra dell’epoca fu decisamente rifiutata dallo stranger), marca di cui aveva un’immensa collezione in garage, alla corsa contromano sulla strada verso il ristorante Tabano, immediatamente fermata dagli agenti di polizia, fino ai litri di Coca Cola a cena, anche al posto di ottimi vini locali, o quel misunderstanding quando una telefonata anonima avvisò le forze dell’ordine di due persone di colore (lui e Latibeaudiere) davanti alla sede della Banca delle Marche di via San Francesco, sotto la sede dell’Aurora dei tempi. Tanti episodi che, però, non cancellarono e non cancellano le giocate di un vero fenomeno.
Una parabola diversa, ma con l’NBA in comune, ce l’ha avuta anche Romain Sato, un altro fenomeno visto nell’ultimo anno dell’era Sicc e che da Jesi spiccò letteralmente il volo. Nato nella Repubblica Centrafricana, prima di arrivare in gialloverde passò un anno sotto il controllo dei San Antonio Spurs. Il curriculum parlava già da solo ma non svelò la bellezza di un giocatore pulito quanto estremamente efficace. Ottimo difensore e grandissimo atleta, all’Aurora non era ancora anche il tiratore visto poi a Siena, al Panathinaikos e a Valencia, ma si vide immediatamente il suo talento: incontenibile in penetrazione e a rimbalzo, due gambe con la dinamite e una mano educata fecero sì che fosse un’arma difficile da limitare in A2. I 39 punti nella stagione regolare contro Pavia sono soltanto la punta dell’iceberg di una stagione da quasi 26 di media, diventati oltre 30 poi nei playoff con quella tripla doppia in gara-3 contro Ferrara: 43 marcature personali, 19 rimbalzi e 17 falli subiti che, però, non bastarono.
Una stagione, quella del 2005/06, che si concluse ai quarti di finale contro Ferrara, in quella famosa partita finita dopo 3 supplementari in 5 contro 3, l’amaro epilogo di un’annata, con Luca Banchi al timone, fortemente pregiudicata dall’incidente automobilistico occorso a tre alfieri gialloverdi, tra cui un importantissimo Tony Dorsey. Quell’anno, però, non fu affatto privo di soddisfazioni, su tutte, sicuramente, il +26 nel derby in trasferta a Fabriano, un match in cui Maggioli, Dorsey e proprio Sato incantarono i tanti tifosi in trasferta stabilendo un record assoluto. Sato, appunto, un carattere diametralmente opposto da Walter Berry: dormiva tantissimo, frequentava sempre lo stesso ristorante, dal primo all’ultimo giorno della sua permanenza a Jesi, l’uomo che ha incantato il pubblico con tutta la sua essenza. Ma anche quel ragazzo che veniva messo costantemente in difficoltà in allenamento da Ray Weathers, l’altro stranger designato a inizio anno ma che, per vari motivi giocò molto poco: eppure, in quel poco durante la settimana e pur con l’Holter cardiaco addosso, Ray Weathers faceva letteralmente impazzire Sato, non proprio l’ultimo difensore in campo. A prescindere, però, il futuro consacrò il centrafricano, un altro fenomeno con un passato in gialloverde.
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