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27/03/2020
#AURORA RACCONTA ALBERTO ROSSINI, PIÙ DI UN SEMPLICE NUMERO NOVE
Dov’eravamo rimasti? Ah sì, Rossini e quel derby nella stagione 2003/04. Un derby strano, giocato mentre fuori, se non ricordiamo male, scendeva già una debolissima nevicata che imbiancava e quasi celebrava una bellissima serata. Quella partita è difficile dimenticarla: i tifosi di Fabriano gli lanciarono un’amichevole sfida nel pre-gara, lui rispose accettandola, siglando 24 punti e le giocate decisive per il 2-0 complessivo nei derby stagionali. Questo era Lupo Rossini.
Con 370 presenze e più di 2300 punti messi a segno in dieci stagioni, Rossini è stato il primo simbolo di Jesi, il volto della Sicc, insieme a Mason Rocca, e l’anima dei primi anni della Fileni, insieme a Michele Maggioli, al quale poi ha lasciato fascia di Capitano e testimone. “Lupo” arrivò nella stagione 2000/01 all’ombra di Federico II insieme ad altri elementi di alto calibro, dopo aver passato quasi tre lustri in Serie A, diventando, a soli 18 anni, playmaker titolare della Pallacanestro Cantù, sotto l’ala di un certo Pierluigi Marzorati, e arrivando anche a vestire la maglia azzurra.
Sin dalle prime partite il playmaker di Treviglio non tarda a confermare quelle che sono le sue caratteristiche: un mastino in difesa, leadership, intelligenza, visione e conoscenza sopraffina della pallacanestro e, soprattutto, un motorino inesauribile nelle gambe e nei polmoni. Negli occhi di un giovanissimo tifoso, allora, il primo ricordo è quello di una serata di gennaio, quando sul parquet del Palas di via Tabano arrivava una corazzata chiamata Livorno che quell’anno, poi, centrò la promozione. Rossini, come spesso successe poi negli anni, si francobollò a un certo Miles Simon, uno dei fenomeni di quella squadra, costringendolo a una prova mediocre, macchiata anche da errori pesanti ai liberi. E sul finire di quella partita, ecco la zampata: sotto di due a pochi secondi dalla fine, Jesi sbagliò il tiro libero di proposito, Rossini di forza e voglia di vincere strappò il rimbalzo e siglò il lay-up che valse supplementare e successiva vittoria.
Un’azione emblematica dell’uomo che si preparava a essere la guida dell’Aurora per tanti anni e che, in un modo o nell’altro, lasciò un segno in tante occasioni: dal recupero lampo dopo quel maledetto sasso che sfondò la carrozzeria della sua macchina rompendogli un piede al derby con Fabriano, dalla famosa gara-3 a Bologna fino alle Final Four di Coppa Italia vinte nel 2008 a Ferrara, insieme a due altre bandiere come Maggioli e Hoover. Insomma, l’altro anello di congiunzione tra il gialloverde e l’arancioblù facendo anche il vice-allenatore, colui che ha passato la mano ad un altro “hall of famer” jesino e tenuto a battesimo tante stelle. Quelle che hanno dato vita alla partita forse emotivamente più bella disputata a Jesi, quella del suo addio, dove c’erano tutti, ma proprio tutti, rievocando i tempi di mille, gloriose, battaglie.
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Dov’eravamo rimasti? Ah sì, Rossini e quel derby nella stagione 2003/04. Un derby strano, giocato mentre fuori, se non ricordiamo male, scendeva già una debolissima nevicata che imbiancava e quasi celebrava una bellissima serata. Quella partita è difficile dimenticarla: i tifosi di Fabriano gli lanciarono un’amichevole sfida nel pre-gara, lui rispose accettandola, siglando 24 punti e le giocate decisive per il 2-0 complessivo nei derby stagionali. Questo era Lupo Rossini.
Con 370 presenze e più di 2300 punti messi a segno in dieci stagioni, Rossini è stato il primo simbolo di Jesi, il volto della Sicc, insieme a Mason Rocca, e l’anima dei primi anni della Fileni, insieme a Michele Maggioli, al quale poi ha lasciato fascia di Capitano e testimone. “Lupo” arrivò nella stagione 2000/01 all’ombra di Federico II insieme ad altri elementi di alto calibro, dopo aver passato quasi tre lustri in Serie A, diventando, a soli 18 anni, playmaker titolare della Pallacanestro Cantù, sotto l’ala di un certo Pierluigi Marzorati, e arrivando anche a vestire la maglia azzurra.
Sin dalle prime partite il playmaker di Treviglio non tarda a confermare quelle che sono le sue caratteristiche: un mastino in difesa, leadership, intelligenza, visione e conoscenza sopraffina della pallacanestro e, soprattutto, un motorino inesauribile nelle gambe e nei polmoni. Negli occhi di un giovanissimo tifoso, allora, il primo ricordo è quello di una serata di gennaio, quando sul parquet del Palas di via Tabano arrivava una corazzata chiamata Livorno che quell’anno, poi, centrò la promozione. Rossini, come spesso successe poi negli anni, si francobollò a un certo Miles Simon, uno dei fenomeni di quella squadra, costringendolo a una prova mediocre, macchiata anche da errori pesanti ai liberi. E sul finire di quella partita, ecco la zampata: sotto di due a pochi secondi dalla fine, Jesi sbagliò il tiro libero di proposito, Rossini di forza e voglia di vincere strappò il rimbalzo e siglò il lay-up che valse supplementare e successiva vittoria.
Un’azione emblematica dell’uomo che si preparava a essere la guida dell’Aurora per tanti anni e che, in un modo o nell’altro, lasciò un segno in tante occasioni: dal recupero lampo dopo quel maledetto sasso che sfondò la carrozzeria della sua macchina rompendogli un piede al derby con Fabriano, dalla famosa gara-3 a Bologna fino alle Final Four di Coppa Italia vinte nel 2008 a Ferrara, insieme a due altre bandiere come Maggioli e Hoover. Insomma, l’altro anello di congiunzione tra il gialloverde e l’arancioblù facendo anche il vice-allenatore, colui che ha passato la mano ad un altro “hall of famer” jesino e tenuto a battesimo tante stelle. Quelle che hanno dato vita alla partita forse emotivamente più bella disputata a Jesi, quella del suo addio, dove c’erano tutti, ma proprio tutti, rievocando i tempi di mille, gloriose, battaglie.
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