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21/03/2020
#AURORA RACCONTA: MICHELE MAGGIOLI, IL CINQUE PER ECCELLENZA
Dieci anni di militanza in arancioblù, di cui cinque da capitano, 329 partite, oltre 5000 punti e “un legame affettivo che non terminerà mai”: parole, firmate dall’ufficio stampa arancioblù, che, salutando nel 2015 Michele Maggioli, fanno capire cosa sia stato, e cos’è tuttora, il pivot per l’Aurora. Comincia da qui il racconto, da colui che, oggi, è anche un anello di congiunzione tra presente e passato.
Le strade di Maggio e dell’Aurora si incrociarono per la prima volta nella stagione 2004/05, quella della storica partecipazione alla Serie A, un’annata beffarda visto l’esito (in tantissime altre edizioni a 22 punti ci si sarebbe comodamente salvati), ma che ha consegnato, senza saperlo, all’Aurora quella che sarebbe diventata poi l’ultima bandiera ad ammainarsi. Nel corso degli anni Maggio ha conquistato tutti, dando sempre il massimo e l’esempio, giocando sul dolore, non fermandosi praticamente mai: arrivato a Jesi, ha dormito in letti in cui nemmeno entrava dall’alto dei suoi 212 centimetri, è sceso in campo persino mentre negli stessi istanti in cui stava nascendo suo figlio Matteo e avrebbe giocato anche a poche ore di distanza da una forte colica renale che lo aveva colpito, se non fosse stato, giustamente, fermato per non rischiare complicazioni.
Miglior giocatore italiano in tre stagioni consecutive, è uno degli artefici del trionfo in Coppa Italia, datato 2008, in quella finale contro Ferrara che è stato il preludio a una cavalcata arrestatasi soltanto contro Caserta. E in tutti i suoi 10 anni in maglia Aurora ha deliziato i tifosi, sbrandellando ferri e retine dell’Ubi Banca Sport Center a suon di appoggi, mezzi ganci, piazzati dai 4-5 metri e tiri da tre. Sì, perché tecnicamente era pressoché impossibile trovare un altro pivot così; lo sapevamo a Jesi come lo sapevano i suoi avversari che spesso si sono ritrovati un ciclone contro, per conferma chiedere alla Fortitudo nel 2012/2013 quando Maggio siglò il suo career-high di 38 punti, o a Casale Monferrato, l’anno dopo, che subì una doppia doppia da 33 punti e 11 rimbalzi (e 47 di valutazione, suo record personale). E che dire di quell’asse play-pivot formato con Ryan Hoover, difficilmente arginabile dagli avversari, specie poi con altrettanti compagni di talento come in tante stagioni in arancioblù.
Al di là di tutto, però, come spesso accade un tale legame e affetto con un giocatore, sia dei tifosi che della società, nasce anche per la lealtà, il sorriso, la disponibilità costante verso tutto e tutti, l’attaccamento e per tutti quei gesti che non si vedono, come la difesa di un suo compagno di squadra, un certo Jeff Brooks, che, al primo anno fuori dagli USA, inizialmente ha faticato ad adattarsi a un mondo per lui diverso. Nonostante tutto Michele Maggioli è stato fedele, ha sempre lottato per questi colori, è tornato, è stato Capitano e bandiera. E quando è stato richiamato dalla sua seconda casa non ha esitato a dire sì in un momento particolare, tornando a portare sul petto quello stemma che ormai ha tatuato sulla pelle.
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Dieci anni di militanza in arancioblù, di cui cinque da capitano, 329 partite, oltre 5000 punti e “un legame affettivo che non terminerà mai”: parole, firmate dall’ufficio stampa arancioblù, che, salutando nel 2015 Michele Maggioli, fanno capire cosa sia stato, e cos’è tuttora, il pivot per l’Aurora. Comincia da qui il racconto, da colui che, oggi, è anche un anello di congiunzione tra presente e passato.
Le strade di Maggio e dell’Aurora si incrociarono per la prima volta nella stagione 2004/05, quella della storica partecipazione alla Serie A, un’annata beffarda visto l’esito (in tantissime altre edizioni a 22 punti ci si sarebbe comodamente salvati), ma che ha consegnato, senza saperlo, all’Aurora quella che sarebbe diventata poi l’ultima bandiera ad ammainarsi. Nel corso degli anni Maggio ha conquistato tutti, dando sempre il massimo e l’esempio, giocando sul dolore, non fermandosi praticamente mai: arrivato a Jesi, ha dormito in letti in cui nemmeno entrava dall’alto dei suoi 212 centimetri, è sceso in campo persino mentre negli stessi istanti in cui stava nascendo suo figlio Matteo e avrebbe giocato anche a poche ore di distanza da una forte colica renale che lo aveva colpito, se non fosse stato, giustamente, fermato per non rischiare complicazioni.
Miglior giocatore italiano in tre stagioni consecutive, è uno degli artefici del trionfo in Coppa Italia, datato 2008, in quella finale contro Ferrara che è stato il preludio a una cavalcata arrestatasi soltanto contro Caserta. E in tutti i suoi 10 anni in maglia Aurora ha deliziato i tifosi, sbrandellando ferri e retine dell’Ubi Banca Sport Center a suon di appoggi, mezzi ganci, piazzati dai 4-5 metri e tiri da tre. Sì, perché tecnicamente era pressoché impossibile trovare un altro pivot così; lo sapevamo a Jesi come lo sapevano i suoi avversari che spesso si sono ritrovati un ciclone contro, per conferma chiedere alla Fortitudo nel 2012/2013 quando Maggio siglò il suo career-high di 38 punti, o a Casale Monferrato, l’anno dopo, che subì una doppia doppia da 33 punti e 11 rimbalzi (e 47 di valutazione, suo record personale). E che dire di quell’asse play-pivot formato con Ryan Hoover, difficilmente arginabile dagli avversari, specie poi con altrettanti compagni di talento come in tante stagioni in arancioblù.
Al di là di tutto, però, come spesso accade un tale legame e affetto con un giocatore, sia dei tifosi che della società, nasce anche per la lealtà, il sorriso, la disponibilità costante verso tutto e tutti, l’attaccamento e per tutti quei gesti che non si vedono, come la difesa di un suo compagno di squadra, un certo Jeff Brooks, che, al primo anno fuori dagli USA, inizialmente ha faticato ad adattarsi a un mondo per lui diverso. Nonostante tutto Michele Maggioli è stato fedele, ha sempre lottato per questi colori, è tornato, è stato Capitano e bandiera. E quando è stato richiamato dalla sua seconda casa non ha esitato a dire sì in un momento particolare, tornando a portare sul petto quello stemma che ormai ha tatuato sulla pelle.
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